Negli anni Sessanta la mortalità nelle leucemie infantili raggiunge quasi il 90 per cento dei casi e i farmaci a disposizione non riescono a combattere le forme più gravi, in particolare quelle con localizzazione cerebrale.
Oggi oltre l’85 per cento dei pazienti guarisce, con punte ancora più elevate nella popolazione pediatrica.
La scelta di somministrare il farmaco direttamente all'interno della scatola cranica e di affiancare alla chemioterapia anche la radioterapia è stata la prima mossa di un percorso che ha successivamente portato gli ematologi pediatrici di tutto il mondo a concentrarsi sulle caratteristiche molecolari della malattia, e di raggiungere i successi attuali. Le cure più aggressive proposte nel 1967 hanno rappresentato una pietra miliare: il primo passo per credere che per la malattia ci fossero possibilità di cura.
Non erano però cure innocue: permettevano sì ai giovani pazienti di sopravvivere, ma a costo di notevoli effetti collaterali anche di tipo cognitivo.
I farmaci di nuova generazione, in particolare quelli mirati contro specifici bersagli terapeutici, hanno effetti collaterali molto più limitati e soprattutto non compromettono la crescita fisica e mentale dei bambini. La somministrazione intratecale è ancora utilizzata, ma a dosaggi inferiori, con lo scopo di evitare che la malattia attacchi anche il cervello.
La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è una malattia relativamente rara: in Italia si registrano circa 1,6 casi ogni 100.000 uomini e 1,2 casi ogni 100.000 donne, cioè circa 450 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 320 tra le donne. È però il tumore più frequente in età pediatrica: infatti rappresenta l'80 per cento delle leucemie e circa il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati tra 0 e 14 anni. L'incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni e poi diminuisce con l'aumentare dell'età, fino ad essere minima dopo i 29 anni (il 50 per cento di tutti i casi viene diagnosticato entro i 29 anni).
Continua...
Oggi oltre l’85 per cento dei pazienti guarisce, con punte ancora più elevate nella popolazione pediatrica.
La scelta di somministrare il farmaco direttamente all'interno della scatola cranica e di affiancare alla chemioterapia anche la radioterapia è stata la prima mossa di un percorso che ha successivamente portato gli ematologi pediatrici di tutto il mondo a concentrarsi sulle caratteristiche molecolari della malattia, e di raggiungere i successi attuali. Le cure più aggressive proposte nel 1967 hanno rappresentato una pietra miliare: il primo passo per credere che per la malattia ci fossero possibilità di cura.
Non erano però cure innocue: permettevano sì ai giovani pazienti di sopravvivere, ma a costo di notevoli effetti collaterali anche di tipo cognitivo.
I farmaci di nuova generazione, in particolare quelli mirati contro specifici bersagli terapeutici, hanno effetti collaterali molto più limitati e soprattutto non compromettono la crescita fisica e mentale dei bambini. La somministrazione intratecale è ancora utilizzata, ma a dosaggi inferiori, con lo scopo di evitare che la malattia attacchi anche il cervello.
La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è una malattia relativamente rara: in Italia si registrano circa 1,6 casi ogni 100.000 uomini e 1,2 casi ogni 100.000 donne, cioè circa 450 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 320 tra le donne. È però il tumore più frequente in età pediatrica: infatti rappresenta l'80 per cento delle leucemie e circa il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati tra 0 e 14 anni. L'incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni e poi diminuisce con l'aumentare dell'età, fino ad essere minima dopo i 29 anni (il 50 per cento di tutti i casi viene diagnosticato entro i 29 anni).
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