Il mistero del Lake Champlain: ipotesi sull'esistenza di un famoso "mostro lacustre"Il mistero del Lake
Il mistero del Lake Champlain: ipotesi sull'esistenza di un famoso "mostro lacustre"C'è una parte della zoologia...
Posted by I 36 Decani on Venerdì 26 giugno 2015
Va detto che praticamente non esiste lago (in qualche caso persino piccoli bacini artificiali) che non sia abitato, secondo la credenza popolare, da qualche misteriosa forma di vita. Dal punto di vista psicologico si può dire che il lago, nonostante alcuni territori ne siano letteralmente ricoperti, è per l'uomo una sorta di ambiente alieno, al tempo stesso affascinante e misterioso. Dal punto di vista della percezione, invece, bisogna ricordare che certe situazioni e punti di vista alterano la comprensione delle dimensioni, come nel caso più famoso di tutti che fa apparire il diametro della Luna che sorge molto maggiore di quello che è in realtà, probabilmente perché siamo abituati a vedere il satellite alto nel cielo e non basso sull'orizzonte.
Questa premessa (alla quale andrebbero aggiunte le sempre possibili falsificazioni intenzionali da parte dei testimoni) non significa che i "mostri dei laghi", il più famoso di tutti è quello scozzese del Loch Ness, non esistano ma semplicemente che vanno considerati con grande prudenza. Il 28 luglio 2004 un animale non identificato è nuovamente comparso nel Lago Champlain, lo specchio d'acqua lungo 175 km che fa da confine tra lo stato di New York ed il Vermont, spingendosi fino in Canada. Cinque gitanti, su un motoscafo più o meno al centro del lago, hanno visto, tra spruzzi d'acqua, tre gobbe di un animale emergere dalla superficie del lago all'inseguimento di un gabbiano, per poi scomparire prima che uno dei turisti riuscisse a prendere la videocamera.
In effetti, la presenza di un animale non identificato (e, presumibilmente, non uno soltanto) nel lago non è una novità, visto che ne parlò per primo Samuel de Champlain, l'esploratore cui il lago deve il nome, nel 1609, descrivendolo come un serpente lungo sei metri, largo quanto un barile e con la testa simile a quella di un cavallo. Gli studiosi di Champ, peraltro, ritengono che questa citazione sia apocrifa e compaia per la prima volta nel 1960; il riferimento, tuttavia, non è del tutto inventato, visto che de Champlain vide qualcosa del genere nell'estuario del San Lorenzo.
Le prime segnalazioni sono attribuite ai pionieri che si insediarono a Port Henry, nella parte meridionale del lago nel 1819 ed una successiva descrizione viene dal personale di un treno presso Dresden, nel 1873. Nel 1883 lo sceriffo della contea di Clinton avvistò un presunto rettile della lunghezza di 7,60-9,15 m; questo particolare della lunghezza è importante, in quanto nessun testimone ha riferito dimensioni favolose. Nel 1945 un uomo disse di aver raccolto un "cucciolo" di rettile sconosciuto della lunghezza di 35 cm ma si pensò che avesse trovato una qualche specie di salamandra.
Joseph W. Zarzynski, fondatore della Lake Champlain Phenomenon Investigation, sta studiando gli avvistamenti da più di un ventennio e nel 1986 ha organizzato una vera e propria spedizione scientifica della durata di 31 giorni, senza però poter ottenere informazioni conclusive. Gli avvistamenti catalogati da Zarzynski sono più di 200 e gli assertori dell'esistenza di un qualche grande animale nel lago sostengono che lo specchio d'acqua, con la sua profondità massima di 120 metri, l'abbondante presenza di pesce e la possibilità di comunicare con l'Oceano Atlantico attraverso il San Lorenzo, potrebbe sostenere una colonia di grandi animali acquatici.
Per Champ esiste anche un'evidenza fotografica: il 5 luglio 1977 Sandra Mansi, il marito e due figli, durante una gita videro, da circa 45 metri, incresparsi le acque del lago e quindi emergere una testa ed il relativo collo. La Mansi prese una fotocamera amatoriale Instamatic e scattò una foto all'animale che ritenne emergere dall'acqua per circa 1,80 metri con una lunghezza della parte immersa tra 3,6 e 4,6 metri. In tutto la visione non durò più di quattro-sette minuti e la Mansi non ebbe modo di scattare altre foto.
La maggior parte degli analisti ha giudicato autentica la foto ed esclude la frode deliberata. L'immagine, però, non è rivelatrice, in quanto mostra un oggetto di colore bruno non facilmente riconducibile alla descrizione che ne ha dato la testimone. Peter Saders, esperto della Kodak per questo tipo di fotocamere, ha analizzato l'immagine ed è giunto alla conclusione che l'oggetto esca dall'acqua per un'altezza stimabile tra 0,75 e 2,5 m e possa essere la pinna caudale di un animale acquatico. Lo zoologo italiano Lorenzo Rossi, considerando la foto di Sandra Mansi e l'analisi di Peter Saders, ha ritenuto che, se si vuol considerare l'immagine come autentica e riferita ad un animale acquatico, più che il capo ed il collo si potrebbe riconoscere una pinna caudale come quella di un cetaceo. Una tesi che riscuote un certo successo è che si tratti di un Basilosauro (Basilosaurus cetoides), del quale si sono trovati fossili in Louisiana risalenti a 36-40 milioni di anni fa. Quest'animale estinto è interessante in quanto è considerato un progenitore delle balene ed il suo nome gli fu dato erroneamente nel 1843 da Richard Harlan che non si rese conto di avere di fronte lo scheletro di un mammifero e lo scambiò per un sauro.
In ogni caso, se Champ esiste come è descritto, difficilmente potrebbe essere un B. cetoides o un B. isis, in quanto questi animali sembrano essere un po' troppo antichi e troppo grandi (circa 15 metri di lunghezza per le femmine e 18 per i maschi) ma, in ogni caso, per approfondire l'argomento bisognerà disporre di ulteriori prove che ci dicano che non siamo di fronte ad uno storione, ad una grossa lontra o ad una foca.
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Questa premessa (alla quale andrebbero aggiunte le sempre possibili falsificazioni intenzionali da parte dei testimoni) non significa che i "mostri dei laghi", il più famoso di tutti è quello scozzese del Loch Ness, non esistano ma semplicemente che vanno considerati con grande prudenza. Il 28 luglio 2004 un animale non identificato è nuovamente comparso nel Lago Champlain, lo specchio d'acqua lungo 175 km che fa da confine tra lo stato di New York ed il Vermont, spingendosi fino in Canada. Cinque gitanti, su un motoscafo più o meno al centro del lago, hanno visto, tra spruzzi d'acqua, tre gobbe di un animale emergere dalla superficie del lago all'inseguimento di un gabbiano, per poi scomparire prima che uno dei turisti riuscisse a prendere la videocamera.
In effetti, la presenza di un animale non identificato (e, presumibilmente, non uno soltanto) nel lago non è una novità, visto che ne parlò per primo Samuel de Champlain, l'esploratore cui il lago deve il nome, nel 1609, descrivendolo come un serpente lungo sei metri, largo quanto un barile e con la testa simile a quella di un cavallo. Gli studiosi di Champ, peraltro, ritengono che questa citazione sia apocrifa e compaia per la prima volta nel 1960; il riferimento, tuttavia, non è del tutto inventato, visto che de Champlain vide qualcosa del genere nell'estuario del San Lorenzo.
Le prime segnalazioni sono attribuite ai pionieri che si insediarono a Port Henry, nella parte meridionale del lago nel 1819 ed una successiva descrizione viene dal personale di un treno presso Dresden, nel 1873. Nel 1883 lo sceriffo della contea di Clinton avvistò un presunto rettile della lunghezza di 7,60-9,15 m; questo particolare della lunghezza è importante, in quanto nessun testimone ha riferito dimensioni favolose. Nel 1945 un uomo disse di aver raccolto un "cucciolo" di rettile sconosciuto della lunghezza di 35 cm ma si pensò che avesse trovato una qualche specie di salamandra.
Joseph W. Zarzynski, fondatore della Lake Champlain Phenomenon Investigation, sta studiando gli avvistamenti da più di un ventennio e nel 1986 ha organizzato una vera e propria spedizione scientifica della durata di 31 giorni, senza però poter ottenere informazioni conclusive. Gli avvistamenti catalogati da Zarzynski sono più di 200 e gli assertori dell'esistenza di un qualche grande animale nel lago sostengono che lo specchio d'acqua, con la sua profondità massima di 120 metri, l'abbondante presenza di pesce e la possibilità di comunicare con l'Oceano Atlantico attraverso il San Lorenzo, potrebbe sostenere una colonia di grandi animali acquatici.
Per Champ esiste anche un'evidenza fotografica: il 5 luglio 1977 Sandra Mansi, il marito e due figli, durante una gita videro, da circa 45 metri, incresparsi le acque del lago e quindi emergere una testa ed il relativo collo. La Mansi prese una fotocamera amatoriale Instamatic e scattò una foto all'animale che ritenne emergere dall'acqua per circa 1,80 metri con una lunghezza della parte immersa tra 3,6 e 4,6 metri. In tutto la visione non durò più di quattro-sette minuti e la Mansi non ebbe modo di scattare altre foto.
La maggior parte degli analisti ha giudicato autentica la foto ed esclude la frode deliberata. L'immagine, però, non è rivelatrice, in quanto mostra un oggetto di colore bruno non facilmente riconducibile alla descrizione che ne ha dato la testimone. Peter Saders, esperto della Kodak per questo tipo di fotocamere, ha analizzato l'immagine ed è giunto alla conclusione che l'oggetto esca dall'acqua per un'altezza stimabile tra 0,75 e 2,5 m e possa essere la pinna caudale di un animale acquatico. Lo zoologo italiano Lorenzo Rossi, considerando la foto di Sandra Mansi e l'analisi di Peter Saders, ha ritenuto che, se si vuol considerare l'immagine come autentica e riferita ad un animale acquatico, più che il capo ed il collo si potrebbe riconoscere una pinna caudale come quella di un cetaceo. Una tesi che riscuote un certo successo è che si tratti di un Basilosauro (Basilosaurus cetoides), del quale si sono trovati fossili in Louisiana risalenti a 36-40 milioni di anni fa. Quest'animale estinto è interessante in quanto è considerato un progenitore delle balene ed il suo nome gli fu dato erroneamente nel 1843 da Richard Harlan che non si rese conto di avere di fronte lo scheletro di un mammifero e lo scambiò per un sauro.
In ogni caso, se Champ esiste come è descritto, difficilmente potrebbe essere un B. cetoides o un B. isis, in quanto questi animali sembrano essere un po' troppo antichi e troppo grandi (circa 15 metri di lunghezza per le femmine e 18 per i maschi) ma, in ogni caso, per approfondire l'argomento bisognerà disporre di ulteriori prove che ci dicano che non siamo di fronte ad uno storione, ad una grossa lontra o ad una foca.
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Il Mistero del Mokele
Tra gli argomenti che più "fanno audience" vanno annoverati senza dubbio i dinosauri. Questi animali che hanno dominato...
Posted by I 36 Decani on Venerdì 19 giugno 2015
Che i grandi rettili non si sono estinti del tutto, lo sappiamo, basti pensare a coccodrilli, varani e draghi di Comodo, ma è chiaro che, quando ci si pongono queste domande, il pensiero va ai grandi dinosauri come i diplodochi, gli apatosauri ecc.
Tra i primi a sollevare grande interesse su questa materia c'è stato Sir Arthur Conan Doyle, con il suo "The Lost World", ma in tempi molto più vicini a noi abbiamo avuto la saga di "Jurassic Park" di Michael Crichton e "Dinosaurs".
Buona parte delle più attendibili segnalazioni della presenza di grandi animali considerati ovunque estinti da migliaia o milioni di anni o di forme di vita non conosciute e ad essi simili proviene dall'Africa Equatoriale e, in particolare, dal bacino del fiume Congo (o Zaire). Quella che probabilmente è la prima descrizione moderna si deve all'abate francese Lievain Bonaventure Proyhart, missionario che visitò quella regione e nel 1776 descrisse un animale sconosciuto, con le dimensioni di un elefante, elementi dell'ippopotamo e del leone, un collo da giraffa ed un'enorme coda serpentiforme: un'immagine che fa pensare immediatamente ad un diplodocide.
Fonte
Tra i primi a sollevare grande interesse su questa materia c'è stato Sir Arthur Conan Doyle, con il suo "The Lost World", ma in tempi molto più vicini a noi abbiamo avuto la saga di "Jurassic Park" di Michael Crichton e "Dinosaurs".
Buona parte delle più attendibili segnalazioni della presenza di grandi animali considerati ovunque estinti da migliaia o milioni di anni o di forme di vita non conosciute e ad essi simili proviene dall'Africa Equatoriale e, in particolare, dal bacino del fiume Congo (o Zaire). Quella che probabilmente è la prima descrizione moderna si deve all'abate francese Lievain Bonaventure Proyhart, missionario che visitò quella regione e nel 1776 descrisse un animale sconosciuto, con le dimensioni di un elefante, elementi dell'ippopotamo e del leone, un collo da giraffa ed un'enorme coda serpentiforme: un'immagine che fa pensare immediatamente ad un diplodocide.
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Nella profezia di San Malachia di Armagh, le dimissioni di Benedetto XVI e non solo..La profezia di Malachia aveva preannunciato tutto: le dimissioni del Papa, poi dopo di lui un Papa descritto come "Petrus Romanus", il cui pontificato, leggendo la profezia, terminerà con la distruzione di Roma e la fine del mondo..... La profezia di Malachia è composta da una lista
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di 111, o 112 a seconda delle versioni, brevi frasi redatte in latino, indicanti altrettanti pontefici. Secondo molti studiosi si tratta di una vera e propria premonizione attribuita a San Malachia di Armagh, circa l'apocalisse. La profezia di Malachia - si legge su Wikipedia - è una lista di 112 brevi frasi in latino, da alcuni ritenute una premonizione attribuita a San Malachia di Armagh. La lista ha la pretesa di descrivere tutti i papi (compresi alcuni antipapi) partendo da Celestino II (eletto nel 1143), e si conclude con un papa descritto come “Petrus Romanus” il cui pontificato, secondo la profezia, terminerà con la distruzione della città di Roma. La profezia fu pubblicata nel 1595 da Arnold de Wyon, uno storico benedettino, come parte del suo libro Lignum Vitæ. Wyon attribuisce la lista a San Malachia, vescovo di Armagh nel XII secolo. Secondo la versione tradizionale, nel 1139, Malachia fu chiamato a Roma da Papa Innocenzo II. Joseph Ratzinger.
A Roma Malachia ebbe una visione di futuri papi; Malachia riportò la visione, con una sequenza di passaggi criptici, in un manoscritto dal titolo Prophetia de Summis Pontificibus. Il manoscritto fu depositato negli Archivi Vaticani e successivamente dimenticato fino alla sua riscoperta nel 1590. Dall'altra parte, è stato rilevato che nella biografia di Malachia scritta da Bernardo di Chiaravalle non ci sono menzioni della profezia; e non ci sono citazioni della profezia prima della sua pubblicazione nel 1595. Molti, compresa l'ultima edizione della Enciclopedia Cattolica, suggeriscono che la profezia sia un falso del XVI secolo; alcuni hanno suggerito che sia stata realizzata dal falsario umbro Alfonso Ceccarelli attorno al 1590. Alcuni hanno suggerito che sia stata creata da Nostradamus e attribuita a Malachia perché un veggente non sarebbe stato attaccato per aver profetizzato la distruzione del papato. I sostenitori della profezia, come lo scrittore John Hogue, sostengono che sebbene l'autore della profezia sia incerto, le predizioni restano valide. L'avvicendarsi di quelli che secondo la profezia sarebbero gli ultimi papi dei tempi (secondo alcune interpretazioni papa Benedetto XVI sarebbe il penultimo), ha riportato l'attenzione su questa profezia. Leggo.it
A Roma Malachia ebbe una visione di futuri papi; Malachia riportò la visione, con una sequenza di passaggi criptici, in un manoscritto dal titolo Prophetia de Summis Pontificibus. Il manoscritto fu depositato negli Archivi Vaticani e successivamente dimenticato fino alla sua riscoperta nel 1590. Dall'altra parte, è stato rilevato che nella biografia di Malachia scritta da Bernardo di Chiaravalle non ci sono menzioni della profezia; e non ci sono citazioni della profezia prima della sua pubblicazione nel 1595. Molti, compresa l'ultima edizione della Enciclopedia Cattolica, suggeriscono che la profezia sia un falso del XVI secolo; alcuni hanno suggerito che sia stata realizzata dal falsario umbro Alfonso Ceccarelli attorno al 1590. Alcuni hanno suggerito che sia stata creata da Nostradamus e attribuita a Malachia perché un veggente non sarebbe stato attaccato per aver profetizzato la distruzione del papato. I sostenitori della profezia, come lo scrittore John Hogue, sostengono che sebbene l'autore della profezia sia incerto, le predizioni restano valide. L'avvicendarsi di quelli che secondo la profezia sarebbero gli ultimi papi dei tempi (secondo alcune interpretazioni papa Benedetto XVI sarebbe il penultimo), ha riportato l'attenzione su questa profezia. Leggo.it
Misteri d'Egitto
La grande piramide, la piana di Giza e la sfinge
La grande piramide o piramide di Cheope si suppone che sia stata costruita almeno 11 mila anni fa forse dagli abitanti di una civiltà Atlantidea e non presenta geroglifici o altre caratteristiche che possono far ricondurre la sua costruzione al popolo egiziano. I numeri 286,1 e 153 si trovano ovunque nelle misurazioni della grande piramide ed hanno un significato molto profondo di tipo scientifico, così come altri numeri che concorrono non poco frequentemente nelle misure della piramide. Infatti essa è orientata con assoluta precisione ai quattro punti cardinali e le sue misure perimetrali e di altezza sono rapportate con notevole precisione alle misure della Terra, tale che la grande piramide viene a rappresentare in scala le dimensioni della Terra...
Continua su I Misteri dell'Antico Egitto
La grande piramide o piramide di Cheope si suppone che sia stata costruita almeno 11 mila anni fa forse dagli abitanti di una civiltà Atlantidea e non presenta geroglifici o altre caratteristiche che possono far ricondurre la sua costruzione al popolo egiziano. I numeri 286,1 e 153 si trovano ovunque nelle misurazioni della grande piramide ed hanno un significato molto profondo di tipo scientifico, così come altri numeri che concorrono non poco frequentemente nelle misure della piramide. Infatti essa è orientata con assoluta precisione ai quattro punti cardinali e le sue misure perimetrali e di altezza sono rapportate con notevole precisione alle misure della Terra, tale che la grande piramide viene a rappresentare in scala le dimensioni della Terra...
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PROVENIENZA RETTILIANA DELL’UMANITÀ?
COINCIDENZE FISIOLOGICHE ED EVOLUZIONE ACCELERATA
Per quanto la scienza abbia fatto passi da gigante nella comprensione dei meccanismi che regolano l’evoluzione degli esseri viventi, l’origine dell'uomo rimane ancora avvolta nel mistero.
Le indagini archeologiche e i ritrovamenti fossili, più che chiarire la storia dell’evoluzione umana, non fanno che complicare un puzzle, di per sé, già abbastanza complicato.
Eppure, tra alcuni ricercatori si registra un certo sconcerto quando si considera lo spazio di tempo estremamente ristretto nel quale si è evoluta la specie umana.... continua su IlNavigatoreCurioso
Le indagini archeologiche e i ritrovamenti fossili, più che chiarire la storia dell’evoluzione umana, non fanno che complicare un puzzle, di per sé, già abbastanza complicato.
Eppure, tra alcuni ricercatori si registra un certo sconcerto quando si considera lo spazio di tempo estremamente ristretto nel quale si è evoluta la specie umana.... continua su IlNavigatoreCurioso
La Pazienza di Cristo
Questa statua di 3 secoli si trova in una piccola cittadina del Messico ed è dotata di veri denti umani completi di radici. L’antica tradizione religiosa prevedeva che le persone donassero parti del proprio corpo alla chiesa come i capelli, ma fino al restauro di questa scultura “La pazienza di Cristo” non si erano mai trovati dei denti dentro ad una statua.
Se la donazione sia stata o meno volontaria resta tutt'oggi un mistero irrisolvibile.
Fonti varie
Se la donazione sia stata o meno volontaria resta tutt'oggi un mistero irrisolvibile.
Fonti varie
ESTINZIONI DI MASSA DOVUTE ALLA MATERIA OSCURA?
Una ricerca del biologo Michael Rampino, dell'Università di New York e del Goddard Institute della NASA, sembra mostrare che i passaggi della Terra attraverso il piano galattico possono avere una correlazione diretta e significativa con fenomeni geologici e biologici che avvengono sulla Terra.
Una ricerca del professor Michael Rampino, biologo dell'Università di New York, sembra mostrare che i passaggi della Terra attraverso il piano galattico, eventi non molto frequenti, ma prevedibili, possono avere una correlazione diretta e significativa con fenomeni geologici e biologici che avvengono sulla Terra... ..continua su Antikitera.Net
Una ricerca del professor Michael Rampino, biologo dell'Università di New York, sembra mostrare che i passaggi della Terra attraverso il piano galattico, eventi non molto frequenti, ma prevedibili, possono avere una correlazione diretta e significativa con fenomeni geologici e biologici che avvengono sulla Terra... ..continua su Antikitera.Net
DECIFRATO IL "VANGELO DEI DESTINI DI MARIA"
È stato decifrato un libro di 1500 anni che contiene un 'vangelo' precedentemente sconosciuto (e da non confondere col Vangelo gnostico di Maria). L'antico manoscritto potrebbe essere stato usato per fornire una guida o un incoraggiamento alle persone che cercavano aiuto per i loro problemi. Scritto in copto, antica lingua egiziana, l'introduzione recita:
"..Il Vangelo dei destini di Maria, la madre del Signore Gesù Cristo, lei alla quale l'Arcangelo Gabriele ha portato le buone notizie. Colui che andrà avanti con tutto il suo cuore otterrà ciò che cerca. Solo non siate indecisi.." ...continua |
L'Oricalco
L'universo è pieno di misteri che sfidano le nostre conoscenze. Nella sezione ‘Ai confini della realtà: Viaggio nei misteri della Scienza’ Epoch Times raccoglie storie che riguardano questi strani fenomeni per stimolare l’immaginazione e aprire possibilità ignote. Se siano vere o no, sei tu a deciderlo. Secondo la leggenda gli uomini di Atlantide desideravano e ricercavano un metallo chiamato oricalco. I ricercatori ritengono di aver scoperto enormi quantità di questo metallo in un relitto di 2600 anni rinvenuto al largo della Sicilia, come annunciato all'inizio dell’anno. La nave che trasportava il metallo, che corrisponde alla descrizione dell’oricalco, è affondata al largo della costa di Gela mentre entrava nel porto. Si pensa che il naufragio sia stato causato da una tempesta. «Il relitto risale alla prima metà del VI secolo a.C.», ha dichiarato Sebastiano Tusa, sovrintendente del Mare della Regione Siciliana, in un’intervista a Discovery News. «È stato ritrovato a circa 300 metri dalle coste di Gela e a tre metri di profondità».
La nave proveniva probabilmente dalla Grecia o dall'Asia Minore. Il suo carico comprendeva 39 lingotti (o tavole, blocchi, mattoni rettangolari) del prezioso metallo. L’oricalco era considerato un metallo misterioso persino ai tempi di Platone, che ne parlò in uno dei suoi dialoghi, Crizia, del 360 a.C. In quel tempo si conosceva solo il nome di questo metallo, nessuno lo aveva mai visto personalmente. «Tutte le pareti esterne del tempio (dedicato a Poseidone e Cleito), con l'eccezione dei pinnacoli, le avevano ricoperte con argento e i pinnacoli con l’oro», scrive Platone. «All'interno del tempio il soffitto era di avorio, curiosamente lavorato ovunque con oro e argento e oricalco; tutte le altre parti, i muri, le colonne e il pavimento, le avevano rivestite di oricalco».
Ma che cos'è l’oricalco esattamente? Poiché non appare nella tavola periodica degli elementi, sicuramente non era un singolo metallo. Si ritiene che fosse una lega, o una combinazione di metalli in una certa proporzione. Ma la formula esatta è stata discussa da scienziati e studiosi durante il corso della storia. Inoltre Platone descrive il metallo dicendo che riflette una tonalità di rosso: «L’intero perimetro del muro, che circondava la parte più remota del muro, essi la rivestirono di ottone e il perimetro del muro vicino lo rivestirono con dello stagno e il terzo, che circondava la cittadella, risplendeva della luce rossa dell’oricalco». Si sostiene che l’oricalco sia stato inventato da Cadmo, un personaggio della mitologia greca, che si dice essere anche il responsabile della nascita di Tebe e dell’importazione in Grecia dell’alfabeto fenicio. Dario Panetta, amministratore di Technologies for Qualities (TQ), ha analizzato la composizione dei lingotti utilizzando la fluorescenza a raggi X. Si è scoperto che i 39 lingotti erano composti per il 75-80 per cento da rame, per il 15-20 percento da zinco e per la percentuale restante da nichel, piombo e ferro, ha dichiarato a Discovery News. Questa composizione è simile a quella del moderno ottone, una lega di rame e zinco. Gli studiosi hanno sempre pensato all'oricalco come una lega simile al bronzo, che potrebbe essere stata prodotta nell'antichità con la cementazione con un crogiolo attraverso la reazione con minerale di zinco, carbone e rame. «Non è mai stato trovato niente di simile», continua Tusa. La città di Gela è stata fondata nel 689 a.C., ed è cresciuta fino a diventare ricca, con una vasta gamma di botteghe artigiane. Tusa ritiene che l’oricalco fosse destinato per essere usato nei negozi degli artigiani e lavorato per creare decorazioni di qualità.
Immagine di una pepita di bronzo e un illustrazione Articolo in inglese: 'Orichalcum: Legendary
di una città sommersa fornita da Shutterstock Metal of Atlantis Found in 2,600-Year-Old Shipwreck'
La nave proveniva probabilmente dalla Grecia o dall'Asia Minore. Il suo carico comprendeva 39 lingotti (o tavole, blocchi, mattoni rettangolari) del prezioso metallo. L’oricalco era considerato un metallo misterioso persino ai tempi di Platone, che ne parlò in uno dei suoi dialoghi, Crizia, del 360 a.C. In quel tempo si conosceva solo il nome di questo metallo, nessuno lo aveva mai visto personalmente. «Tutte le pareti esterne del tempio (dedicato a Poseidone e Cleito), con l'eccezione dei pinnacoli, le avevano ricoperte con argento e i pinnacoli con l’oro», scrive Platone. «All'interno del tempio il soffitto era di avorio, curiosamente lavorato ovunque con oro e argento e oricalco; tutte le altre parti, i muri, le colonne e il pavimento, le avevano rivestite di oricalco».
Ma che cos'è l’oricalco esattamente? Poiché non appare nella tavola periodica degli elementi, sicuramente non era un singolo metallo. Si ritiene che fosse una lega, o una combinazione di metalli in una certa proporzione. Ma la formula esatta è stata discussa da scienziati e studiosi durante il corso della storia. Inoltre Platone descrive il metallo dicendo che riflette una tonalità di rosso: «L’intero perimetro del muro, che circondava la parte più remota del muro, essi la rivestirono di ottone e il perimetro del muro vicino lo rivestirono con dello stagno e il terzo, che circondava la cittadella, risplendeva della luce rossa dell’oricalco». Si sostiene che l’oricalco sia stato inventato da Cadmo, un personaggio della mitologia greca, che si dice essere anche il responsabile della nascita di Tebe e dell’importazione in Grecia dell’alfabeto fenicio. Dario Panetta, amministratore di Technologies for Qualities (TQ), ha analizzato la composizione dei lingotti utilizzando la fluorescenza a raggi X. Si è scoperto che i 39 lingotti erano composti per il 75-80 per cento da rame, per il 15-20 percento da zinco e per la percentuale restante da nichel, piombo e ferro, ha dichiarato a Discovery News. Questa composizione è simile a quella del moderno ottone, una lega di rame e zinco. Gli studiosi hanno sempre pensato all'oricalco come una lega simile al bronzo, che potrebbe essere stata prodotta nell'antichità con la cementazione con un crogiolo attraverso la reazione con minerale di zinco, carbone e rame. «Non è mai stato trovato niente di simile», continua Tusa. La città di Gela è stata fondata nel 689 a.C., ed è cresciuta fino a diventare ricca, con una vasta gamma di botteghe artigiane. Tusa ritiene che l’oricalco fosse destinato per essere usato nei negozi degli artigiani e lavorato per creare decorazioni di qualità.
Immagine di una pepita di bronzo e un illustrazione Articolo in inglese: 'Orichalcum: Legendary
di una città sommersa fornita da Shutterstock Metal of Atlantis Found in 2,600-Year-Old Shipwreck'
IL LIBER LINTEUS: UNA MUMMIA EGIZIANA AVVOLTA IN UN MISTERIOSO MESSAGGIO
Nel 1798, i francesi di Napoleone Bonaparte hanno lanciato una campagna militare in Egitto. Insieme con soldati e personale militare, Napoleone ha portato un gran numero di studiosi e scienziati conosciuti come savants quando invasero il paese. Il coinvolgimento di questi studiosi nella guerra ha provocato un rinnovato interesse europeo in Egitto, noto come Egyptomania. Col tempo, manufatti egiziani, tra cui statue, papiri e persino mummie venivano spediti dalla Valle del Nilo ai musei di tutta Europa.
Una mummia particolarmente interessante, e le sue altrettanto famose bende di lino, nota come il Liber Linteus (latino 'Linen Book'), ha trovato la sua strada nel Museo Archeologico di Zagabria, Croazia. Nel 1848, un funzionario croato dell'ungherese Reale Cancelleria con il nome di Mihajlo BariÄ dimesso dal suo incarico ha deciso di fare qualche viaggio. Mentre era ad Alessandria d'Egitto, BariÄ aveva deciso di acquistare un souvenir, acquistò un sarcofago contenente una mummia femminile. Quando BariÄ tornò a casa nella sua Vienna, ha mostrato la mummia mettendola in un angolo della sua stanza seduta in posizione verticale. |
BariÄ ha tolto la biancheria dall' involucro della sua mummia e ha visualizzato una teca di vetro separata. Nel 1859, BariÄ morì, e suo fratello Ilija, un sacerdote che viveva in Slavonia, ereditò la mummia.... continua
Antichi Astronauti in Polinesia?
IL MISTERO DELL'ISOLA DI NUKU HIVA
Temehea Tohua è la casa ancestrale di Vaekehu, l'ultima regina di Taiohae. Il sito si trova su Nuku Hiva, l'isola maggiore dell'arcipelago delle Isole Marchesi. Quest'isola è unica per le sue strane statue che secondo alcuni raffigurerebbero creature non terrestri. Sono in molti a voler svelare l'enigma delle sculture Temehea Tohua: sono il frutto della fervida immaginazione dei coloni polinesiani, oppure la testimonianza di un antico incontro ravvicinato?
Senza dubbio, il significato originale e lo scopo di una grande quantità di opere d'arte preistoriche sfugge alla nostra comprensione.
Spesso, quello che era stato considerato come il frutto dell'immaginazione di un antico artista si è poi rivelato essere un'accurata testimonianza di fatti storici. Potrebbe essere anche il caso delle enigmatiche statue di Temehea Tohua? ....... Continua
Senza dubbio, il significato originale e lo scopo di una grande quantità di opere d'arte preistoriche sfugge alla nostra comprensione.
Spesso, quello che era stato considerato come il frutto dell'immaginazione di un antico artista si è poi rivelato essere un'accurata testimonianza di fatti storici. Potrebbe essere anche il caso delle enigmatiche statue di Temehea Tohua? ....... Continua
La leggenda del castello di Sorci
Non molto lontano da Anghiari, vicino Arezzo sorge il castello di Sorci un tempo dimora di Baldaccio Bruni, proprietario dopo il matrimonio con Annalena Malatesta anche del castello di Ranco. Baldaccio Bruni morì il 6 settembre 1941, ucciso a tradimento da quelle stesse persone che considerava amiche e che invece in modo atroce e brutale lo decapitarono lasciandolo in quello stato davanti alle gente che passava dinanzi a Palazzo Vecchio a Firenze. Da quell'orribile giorno, si è detto che con la frequenza di ogni cinquanta anni lo spirito di Baldaccio si aggiri nel castello forse per ricordare a tutti l’ingiustizia della sua morte. Il nuovo proprietario del castello di Sorci, Primetto Barelli, che ha acquistato il castello nel 1970, racconta di aver visto anche lui lo spirito di Baldaccio e che anzi proprio lui lo invitava ad acquistare il castello per rispettare un’antica tradizione. Infatti la proprietà del castello era sempre stata di persone il cui cognome iniziava con la lettera B, non a caso ora doveva essere Primetto Barelli. Il mistero su questa apparizione è forte, dal momento che secondo la leggenda lo spirito di Baldaccio Bruni lo si vede così come è morto e cioè senza la testa. Normalmente invece gli spiriti si mostrano nella loro integrità.
Un altro mistero è legato al rumore di sonagli che spesso si sente all'interno del castello, ma di quei suoni non è facile capire la provenienza. In ogni caso è opportuno sapere che oggi quel castello è stato trasformato in uno dei ristoranti più conosciuti d’Italia, meta di personaggi in vista che si recano lì anche forse sperando di udire o vedere qualcosa.
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Un altro mistero è legato al rumore di sonagli che spesso si sente all'interno del castello, ma di quei suoni non è facile capire la provenienza. In ogni caso è opportuno sapere che oggi quel castello è stato trasformato in uno dei ristoranti più conosciuti d’Italia, meta di personaggi in vista che si recano lì anche forse sperando di udire o vedere qualcosa.
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L'UOMO RETTILE DELLA MESOPOTAMIA
UN MISTERO DI 7000 ANNI ANCORA SENZA RISPOSTA
Il parere degli archeologi tradizionali è pressoché unanime nello stabilire che la storia umana abbia avuto inizio in Mesopotamia, l'attuale Iraq, con la grande civiltà dei Sumeri. Tuttavia, nel sito archeologico di Al Ubaid sono state ritrovati numerosi manufatti pre-sumeri che risalgono a circa 7 mila anni fa, molti dei quali rappresentano enigmatici umanoidi con chiari lineamenti rettili. La cultura preistorica di Ubaid è vissuta in Mesopotamia tra il 4 mila e il 5, 5 mila a.C. Come per i Sumeri, anche l'origine del popolo Ubaidiano è sconosciuta. Essi vivevano in grandi insediamenti costituiti di case di mattoni di fango, sviluppando l'architettura, l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. L'architettura abitativa comprendeva grandi case a forma di T, cortili aperti, strade lastricate, una sorta di anteprima della città sumere. Alcuni di questi villaggi, infatti, hanno cominciato a svilupparsi in città, i templi iniziarono a fare la loro comparsa, così come i grandi edifici monumentali come in Eridu, Ur e Uruk, i siti più importanti della civiltà sumera. Secondo quanto riportato dai testi antichi dei sumeri, Ur era considerata la prima città mai esistita sul nostro pianeta. Come riporta John Black su Ancient Origins, il luogo principale dove sono state ritrovate le insolite statuite si chiama Al'Ubaid. Inoltre, alcune di esse sono state rinvenute anche in Ur e in Eridu. Il primo esploratore a scavare il sito di Al'Ubaid fu Harry Reginald Hal nel 1919. Si tratta di un piccolo tumulo di circa mezzo chilometro di diametro, con un altezza di circa due metri dal suolo. Lo scavo portò alla luce diverse figurine maschili e femminili in diverse posture e nella maggior parte dei casi sembra che indossino una sorta di casco e che abbiano un qualche tipo di imbottitura sulle spalle. Altre figurine reggono una sorta di scettro, forse un simbolo regale e di potere. Il fatto più curioso è che i lineamenti dei volti delle statuine hanno sembianze rettili, con lunghe teste, occhi a mandorla e il naso molto simile a quello delle lucertole. Tra le statuine più strane ci sono alcune figurine femminili che reggono in braccio un lattante con le sembianze di una lucertola.
Cosa o chi esse rappresentino esattamente è del tutto ignoto ai ricercatori. Secondo alcuni archeologi, le posture, come quella che rappresenta l'allattamento al seno femminile, non suggeriscono che si tratti di oggetti rituali.
Ma allora perchè questo antico popolo decise di rappresentare degli individui dai tratti rettiliani?
Chiunque rappresentassero, sembra che fossero particolarmente importanti per la cultura di Ubaid. Come segnalato in un posto precedente, il serpente è un simbolo molto importante per la cultura umana. Molte popolazioni antiche rappresentavano le loro divinità 'venute del cielo' sotto forma di essere rettiliani.
Nel pantheon delle divinità sumere figura Enki, la divinità dei mestieri, del bene, dell'acqua, del mare, dei laghi, della sapienza e della creazione. Enki, in alcune rappresentazioni, appare come un essere metà uomo e metà serpente. Il significato del suo nome dovrebbe essere "signore della terra". Egli era il custode dei poteri divini chiamati Me, i doni della civilizzazione dei quali avrebbe beneficiato l'umanità. La sua immagine è un serpente con una doppia ellisse, o Caduceus, molto simile al Bastone di Asclepio. Secondo l'opinione di alcuni autori, non sorprende che il simbolo di Enki sia stato poi usato come simbolo della medicina, data la sua sconcertante somiglianza con la doppia elica del DNA.
I Sumeri rappresentano la prima popolazione urbanizzata al mondo. Erano i discendenti di un'etnia della Mesopotamia meridionale (l'odierno Iraq sud-orientale), autoctona o stanziatasi in quella regione dal tempo in cui vi migrò (attorno al 5000 a.C.) fino all'ascesa di Babilonia (attorno al 1500 a.C.). Il termine Sumero è in realtà il nome dato agli antichi abitanti della Mesopotamia dai loro successori, il popolo semitico degli Accadi. I Sumeri, (o Shumeri da Shumer) infatti, chiamavano se stessi sag-giga, letteralmente "la gente dalla testa nera" e la loro terra Ki-en-gi, "luogo dei signori civilizzati".
Il sistema religioso dei sumeri era un complesso pantheon abitato da centinaia di divinità. Secondo gli antichi testi religiosi sumeri, gli dei e gli esseri umani vivevano insieme sulla Terra. Ogni città sumera era 'sorvegliata' da un proprio dio, e gli esseri umani erano impiegati come servi degli dei. Tuttavia, quando si legge il mito della creazione sumero, ritrovato su una tavoletta di Nippur, un'antica città mesopotamica fondata nel 5 mila a.C., si apprende qualcosa di interessante. La creazione della Terra (Enuma Elish) secondo le tavolette sumere è avvenuta così:
Quando in alto il Cielo non aveva ancora un nome,
E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome,
Nulla esisteva eccetto Apsû, l'antico, il loro creatore,
E Mummu e TiÄ mat, la madre di loro tutti,
Le loro acque si mescolarono insieme
E i pascoli non erano ancora formati, né i canneti esistevano;
Quando nessuno degli Dei era ancora manifesto.
Nessuno aveva un nome e i loro destini erano incerti.
Allora, in mezzo a loro presero forma gli Dei.
Dal racconto risulta chiaro che nessuna delle divinità del pantheon sumero è responsabile della creazione, anzi gli stessi dei sono parte della creazione. La mitologia sumera sostiene che in principio gli esseri umani erano governati da una progenie 'divina' non umana. Questi esseri erano in grado di viaggiare attraverso il cielo in veicoli di forma rotonda o cilindrica.
Chi erano i Nephilim della Bibbia: divinità o antichi astronauti?
Secondo i miti, costoro sarebbero venuti sulla Terra per renderla abitabile al fine di sfruttarne le risorse minerarie! Che cose se ne fanno degli dei di argento e oro? I testi riferiscono che a un certo punto alcuni dei si ribellano contro i loro capi:
Quando gli dei, come gli uomini,
eseguivano il lavoro e ne pagavano le conseguenze
la loro fatica era strordinaria,
il lavoro pesante e l'angoscia era alta.
Anu, il dio degli dei, convenne che il lavoro per i suoi sottoposti era davvero troppo grande. Suo figlio Enki (conosciuto anche come Ea) propose di creare una creatura che si sobbarcasse il lavoro degli altri dei. Così, con l'aiuto della sua sorellastra Ninki, crearono l'uomo per farne un lavoratore 'a loro immagine'. I testi affermano che un dio fu messo a morte e il suo sangue fu mescolato con l'argilla. Da questo materiale primordiale fu creato il primo essere umano, a somiglianza degli dei. La prima coppia umana fu creata è posta in Eden, una parola sumera che significa 'terreno pianeggiante'. Nell'Epopea di Gilgamesh, Eden è menzionato come il giardino degli dei e si trova da qualche parte in Mesopotamia tra i fiumi Tigri ed Eufrate.
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Cosa o chi esse rappresentino esattamente è del tutto ignoto ai ricercatori. Secondo alcuni archeologi, le posture, come quella che rappresenta l'allattamento al seno femminile, non suggeriscono che si tratti di oggetti rituali.
Ma allora perchè questo antico popolo decise di rappresentare degli individui dai tratti rettiliani?
Chiunque rappresentassero, sembra che fossero particolarmente importanti per la cultura di Ubaid. Come segnalato in un posto precedente, il serpente è un simbolo molto importante per la cultura umana. Molte popolazioni antiche rappresentavano le loro divinità 'venute del cielo' sotto forma di essere rettiliani.
Nel pantheon delle divinità sumere figura Enki, la divinità dei mestieri, del bene, dell'acqua, del mare, dei laghi, della sapienza e della creazione. Enki, in alcune rappresentazioni, appare come un essere metà uomo e metà serpente. Il significato del suo nome dovrebbe essere "signore della terra". Egli era il custode dei poteri divini chiamati Me, i doni della civilizzazione dei quali avrebbe beneficiato l'umanità. La sua immagine è un serpente con una doppia ellisse, o Caduceus, molto simile al Bastone di Asclepio. Secondo l'opinione di alcuni autori, non sorprende che il simbolo di Enki sia stato poi usato come simbolo della medicina, data la sua sconcertante somiglianza con la doppia elica del DNA.
I Sumeri rappresentano la prima popolazione urbanizzata al mondo. Erano i discendenti di un'etnia della Mesopotamia meridionale (l'odierno Iraq sud-orientale), autoctona o stanziatasi in quella regione dal tempo in cui vi migrò (attorno al 5000 a.C.) fino all'ascesa di Babilonia (attorno al 1500 a.C.). Il termine Sumero è in realtà il nome dato agli antichi abitanti della Mesopotamia dai loro successori, il popolo semitico degli Accadi. I Sumeri, (o Shumeri da Shumer) infatti, chiamavano se stessi sag-giga, letteralmente "la gente dalla testa nera" e la loro terra Ki-en-gi, "luogo dei signori civilizzati".
Il sistema religioso dei sumeri era un complesso pantheon abitato da centinaia di divinità. Secondo gli antichi testi religiosi sumeri, gli dei e gli esseri umani vivevano insieme sulla Terra. Ogni città sumera era 'sorvegliata' da un proprio dio, e gli esseri umani erano impiegati come servi degli dei. Tuttavia, quando si legge il mito della creazione sumero, ritrovato su una tavoletta di Nippur, un'antica città mesopotamica fondata nel 5 mila a.C., si apprende qualcosa di interessante. La creazione della Terra (Enuma Elish) secondo le tavolette sumere è avvenuta così:
Quando in alto il Cielo non aveva ancora un nome,
E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome,
Nulla esisteva eccetto Apsû, l'antico, il loro creatore,
E Mummu e TiÄ mat, la madre di loro tutti,
Le loro acque si mescolarono insieme
E i pascoli non erano ancora formati, né i canneti esistevano;
Quando nessuno degli Dei era ancora manifesto.
Nessuno aveva un nome e i loro destini erano incerti.
Allora, in mezzo a loro presero forma gli Dei.
Dal racconto risulta chiaro che nessuna delle divinità del pantheon sumero è responsabile della creazione, anzi gli stessi dei sono parte della creazione. La mitologia sumera sostiene che in principio gli esseri umani erano governati da una progenie 'divina' non umana. Questi esseri erano in grado di viaggiare attraverso il cielo in veicoli di forma rotonda o cilindrica.
Chi erano i Nephilim della Bibbia: divinità o antichi astronauti?
Secondo i miti, costoro sarebbero venuti sulla Terra per renderla abitabile al fine di sfruttarne le risorse minerarie! Che cose se ne fanno degli dei di argento e oro? I testi riferiscono che a un certo punto alcuni dei si ribellano contro i loro capi:
Quando gli dei, come gli uomini,
eseguivano il lavoro e ne pagavano le conseguenze
la loro fatica era strordinaria,
il lavoro pesante e l'angoscia era alta.
Anu, il dio degli dei, convenne che il lavoro per i suoi sottoposti era davvero troppo grande. Suo figlio Enki (conosciuto anche come Ea) propose di creare una creatura che si sobbarcasse il lavoro degli altri dei. Così, con l'aiuto della sua sorellastra Ninki, crearono l'uomo per farne un lavoratore 'a loro immagine'. I testi affermano che un dio fu messo a morte e il suo sangue fu mescolato con l'argilla. Da questo materiale primordiale fu creato il primo essere umano, a somiglianza degli dei. La prima coppia umana fu creata è posta in Eden, una parola sumera che significa 'terreno pianeggiante'. Nell'Epopea di Gilgamesh, Eden è menzionato come il giardino degli dei e si trova da qualche parte in Mesopotamia tra i fiumi Tigri ed Eufrate.
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La città perduta dell'Honduras: tracce di una civiltà senza nome
I resti di un'antica civiltà precolombiana sono stati rinvenuti nella foresta della Mosquitia: potrebbe trattarsi della leggendaria Città Bianca, della quale finora non era mai stata trovata traccia. "Comitato di benvenuto" nella terra dei misteri, nella rappresentazione artistica di Libby Bailey.
Antiche leggende del Centro America raccontano della Ciudad Blanca (Città Bianca), qualche volta chiamata Città del Dio Scimmia, nascosta da qualche parte in Honduras, nella regione della Mosquitia, la più grande foresta pluviale a nord dell'Amazzonia. Le leggende sono però adesso qualcosa di più che racconti tramandati di generazione in generazione: una spedizione guidata da Chris Fisher, antropologo della Colorado State University, ha infatti trovato i resti di una misteriosa civiltà proprio nella Mosquitia.
NASCOSTA NELLA FORESTA. Come di consueto nel caso di importanti ritrovamenti, l'esatta posizione del sito archeologico è top secret, per evitare saccheggi. Ciò che trapela dal dipartimento di antropologia dell'università è che si tratta di una delle aree più inaccessibili e incontaminate del Centro America, sul versante orientale dell'Honduras. Dell'antica città sono venuti alla luce finora pochi frammenti: il team di ricerca, composto da archeologi honduregni oltre che statunitensi, ha trovato blocchi di pietra, apparentemente tagliati a mano, e 52 oggetti parzialmente sotterrati che sono, forse, indizio di un rituale. Gli studiosi confidano di fare ulteriori scoperte scavando più in profondità. Statuette di epoca Maya: sono comuni le rappresentazioni di figure umane che indossano copricapo simili a caschi. Tra i reperti più interessanti c'è quello che è stato battezzato il giaguaro mannaro: «Una figura che sembra indossare una specie di casco», commenta Fisher, che potrebbe rappresentare uno sciamano in stato di trance nel mondo degli spiriti.
600 ANNI DA SOLI. Della Città Bianca parlò il conquistador Hernàn Cortés nelle sue scorribande cinquecentesche e forse la sorvolò anche Charles Lindbergh nel 1927, ma nessuno la trovò mai, perciò la sua esistenza è finora rimasta confinata nella mitologia. Oggi si stima che l'ignota civiltà precolombiana, cui gli studiosi non hanno ancora dato un nome, abbia prosperato nella Mosquitia dal 1000 d.C. al 1400, per poi scomparire per cause ancora da chiarire. L'isolamento della città è stato tale che, secondo Fischer e i suoi colleghi, dall'epoca dell'abbandono (circa 600 anni fa), nessuno ci ha mai messo più piede. Questa tesi è supportata anche dalla straordinaria diversità biologica che caratterizza l'intera zona e dal fatto che molti animali hanno dimostrato, con il loro comportamento curioso e disinvolto, di non aver mai visto prima un essere umano.
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Antiche leggende del Centro America raccontano della Ciudad Blanca (Città Bianca), qualche volta chiamata Città del Dio Scimmia, nascosta da qualche parte in Honduras, nella regione della Mosquitia, la più grande foresta pluviale a nord dell'Amazzonia. Le leggende sono però adesso qualcosa di più che racconti tramandati di generazione in generazione: una spedizione guidata da Chris Fisher, antropologo della Colorado State University, ha infatti trovato i resti di una misteriosa civiltà proprio nella Mosquitia.
NASCOSTA NELLA FORESTA. Come di consueto nel caso di importanti ritrovamenti, l'esatta posizione del sito archeologico è top secret, per evitare saccheggi. Ciò che trapela dal dipartimento di antropologia dell'università è che si tratta di una delle aree più inaccessibili e incontaminate del Centro America, sul versante orientale dell'Honduras. Dell'antica città sono venuti alla luce finora pochi frammenti: il team di ricerca, composto da archeologi honduregni oltre che statunitensi, ha trovato blocchi di pietra, apparentemente tagliati a mano, e 52 oggetti parzialmente sotterrati che sono, forse, indizio di un rituale. Gli studiosi confidano di fare ulteriori scoperte scavando più in profondità. Statuette di epoca Maya: sono comuni le rappresentazioni di figure umane che indossano copricapo simili a caschi. Tra i reperti più interessanti c'è quello che è stato battezzato il giaguaro mannaro: «Una figura che sembra indossare una specie di casco», commenta Fisher, che potrebbe rappresentare uno sciamano in stato di trance nel mondo degli spiriti.
600 ANNI DA SOLI. Della Città Bianca parlò il conquistador Hernàn Cortés nelle sue scorribande cinquecentesche e forse la sorvolò anche Charles Lindbergh nel 1927, ma nessuno la trovò mai, perciò la sua esistenza è finora rimasta confinata nella mitologia. Oggi si stima che l'ignota civiltà precolombiana, cui gli studiosi non hanno ancora dato un nome, abbia prosperato nella Mosquitia dal 1000 d.C. al 1400, per poi scomparire per cause ancora da chiarire. L'isolamento della città è stato tale che, secondo Fischer e i suoi colleghi, dall'epoca dell'abbandono (circa 600 anni fa), nessuno ci ha mai messo più piede. Questa tesi è supportata anche dalla straordinaria diversità biologica che caratterizza l'intera zona e dal fatto che molti animali hanno dimostrato, con il loro comportamento curioso e disinvolto, di non aver mai visto prima un essere umano.
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Conoscete la storia del Codex Gigas, meglio conosciuto come Bibbia del Diavolo?
Il Codex Gigas (libro gigante) è il più grande manoscritto medioevale giunto fino ai nostri giorni e attualmente si trova nella Biblioteca Nazionale di Svezia. Le sue dimensioni sono impressionanti: 92 cm di lunghezza, 50 cm di larghezza e 22 di spessore, e il peso totale è di 75 kg, senza contare che la sua copertina di legno è ricoperta di pelle e decorazioni. Per questi motivi l’opera è considerata uno degli oggetti più strani, enormi e affascinanti del passato.
Forse alcuni di voi ne hanno sentito parlare con un nomi diversi, come Codice Gigas, Codex Giganteus, Gigas Librorum o Fans Bibel. In ogni caso si tratta di un’opera piena di mistero, ma perchè?
Il codice pare sia stato scritto attorno al 1229 da un monaco benedettino, un certo Herman il Recluso nel monastero di Podlažice in Repubblica Ceca. Secondo la leggenda, questo frate fu condannato a morire murato vivo per avere infranto alcune severe regole, tipiche dell’ordine benedettino. La notte precedente alla sua condanna, colto da un’ispirazione, si offrì di scrivere un enorme libro, in cui vi fosse trascritta l’intera Bibbia e altri testi sul sapere umano in una sola notte chiedendo agli altri monaci di salvargli la vita se fosse riuscito nel suo intento. Resosi conto dell’impossibilità di scrivere il manoscritto in una notte, il monaco chiese aiuto al Diavolo che lo aiutò e difatti il giorno seguente il libro era magicamente completo. Secondo molti studiosi per completare un libro, di quelle dimensioni e con 320 pagine in pelle ci sarebbero voluti tra i 20 e i 30 anni. Inoltre secondo un’analisi recente, la grafia è giudicata pressocchè identica dall’inizio alla fine, oltre al fatto che non ci sono errori: è possibile dunque che il manoscritto sia stato scritto in tempi non eccessivamente lunghi e da un’unica persona.
codex gigas2A parte le leggende sull’origine del Codex Gigas, è certamente degno di nota il contenuto del manoscritto. Innanzitutto la Bibbia, poi troviamo la Etymologiae di Isidoro di Siviglia, alcuni testi storici di Giuseppe Flavio, una storia sulla Boemia, ma anche alcune formule magiche, un calendario con nomi di santi e l’elenco dei monaci del monastero. La pagina più famosa dell’opera, è la 290: essa contiene un’immagine del Diavolo a tutta pagina (da qui il nome Bibbia del Diavolo) raffigurato mezzo uomo e mezzo animale, con corna, una lingua biforcuta e piedi con artigli.
Per togliere un po’ di mistero va detto che forse ci fu un’errata interpretazione della parola inclusus: alcuni pensavano che significasse “essere murati vivi”, ma secondo gli ultimi studi l’espressione vorrebbe dire “scelta di reclusione”. Dunque è probabile che il frate abbia scelto lui stesso di essere “murato vivo” per liberarsi dei suoi peccati e mettere su carta il lavoro e gli studi di una vita a favore dell’umanità. Inoltre nella pagina precedente la raffigurazione del diavolo troviamo una pagina con il regno dei cieli, come dire che nell’eterna lotta tra il bene e il male, forse il frate è riuscito a liberarsi dai suoi peccati.
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Forse alcuni di voi ne hanno sentito parlare con un nomi diversi, come Codice Gigas, Codex Giganteus, Gigas Librorum o Fans Bibel. In ogni caso si tratta di un’opera piena di mistero, ma perchè?
Il codice pare sia stato scritto attorno al 1229 da un monaco benedettino, un certo Herman il Recluso nel monastero di Podlažice in Repubblica Ceca. Secondo la leggenda, questo frate fu condannato a morire murato vivo per avere infranto alcune severe regole, tipiche dell’ordine benedettino. La notte precedente alla sua condanna, colto da un’ispirazione, si offrì di scrivere un enorme libro, in cui vi fosse trascritta l’intera Bibbia e altri testi sul sapere umano in una sola notte chiedendo agli altri monaci di salvargli la vita se fosse riuscito nel suo intento. Resosi conto dell’impossibilità di scrivere il manoscritto in una notte, il monaco chiese aiuto al Diavolo che lo aiutò e difatti il giorno seguente il libro era magicamente completo. Secondo molti studiosi per completare un libro, di quelle dimensioni e con 320 pagine in pelle ci sarebbero voluti tra i 20 e i 30 anni. Inoltre secondo un’analisi recente, la grafia è giudicata pressocchè identica dall’inizio alla fine, oltre al fatto che non ci sono errori: è possibile dunque che il manoscritto sia stato scritto in tempi non eccessivamente lunghi e da un’unica persona.
codex gigas2A parte le leggende sull’origine del Codex Gigas, è certamente degno di nota il contenuto del manoscritto. Innanzitutto la Bibbia, poi troviamo la Etymologiae di Isidoro di Siviglia, alcuni testi storici di Giuseppe Flavio, una storia sulla Boemia, ma anche alcune formule magiche, un calendario con nomi di santi e l’elenco dei monaci del monastero. La pagina più famosa dell’opera, è la 290: essa contiene un’immagine del Diavolo a tutta pagina (da qui il nome Bibbia del Diavolo) raffigurato mezzo uomo e mezzo animale, con corna, una lingua biforcuta e piedi con artigli.
Per togliere un po’ di mistero va detto che forse ci fu un’errata interpretazione della parola inclusus: alcuni pensavano che significasse “essere murati vivi”, ma secondo gli ultimi studi l’espressione vorrebbe dire “scelta di reclusione”. Dunque è probabile che il frate abbia scelto lui stesso di essere “murato vivo” per liberarsi dei suoi peccati e mettere su carta il lavoro e gli studi di una vita a favore dell’umanità. Inoltre nella pagina precedente la raffigurazione del diavolo troviamo una pagina con il regno dei cieli, come dire che nell’eterna lotta tra il bene e il male, forse il frate è riuscito a liberarsi dai suoi peccati.
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Il mistero irrisolto del dodecaedro Romano
C’è un piccolo oggetto di 2 mila anni che sta facendo impazzire gli archeologi di tutto il mondo e che non ne vuole sapere di svelare i suoi segreti. Si tratta del “Dodecaedro Romano”, nome attribuito ad una serie di piccoli oggetti cavi in bronzo o in pietra, composti da dodici facce pentagonali piane, ciascuna con un foro circolare di 8 centimentri al centro. Le dimensioni di questi enigmatici oggetti varia dai 4 agli 11 centimetri e si stima risalgano al II o III secolo d.C. Attualmente, tra collezioni private e musei, si conservano circa un centinaio di dodecaedri. I misteriosi reperti sono stati rinvenuti in ogni parte dell’Europa: dal Galles all’Ungheria, dall’Italia alla Germania. La funzione e l’utilizzo del dodecaedro romano rimane un mistero e tutti i tentativi di risolvere l’enigma sono andati a vuoto, anche perchè non sono menzionati in nessun resoconto, cronaca o immagine dell’epoca romana. Sono state avanzate le più svariate ipotesi sull’utilizzo del Dodecaedro Romano, dal porta candela al giocattolo, dall’osservazione astronomica al calcolo ingegneristico, dall’oggetto decorativo alla funzione religiosa. C’è anche chi ha avanzato ipotesi più esotiche, considerando la Teoria di Atlantide o l’ipotesi aliena, partendo da una semplice domanda: il misterioso dodecaedro è stato veramente creato e utilizzato dai romani, oppure è stato definito “romano” semplicemente perchè è stato rinvenuto nei siti che una volta facevano parte dell’Impero Romano?
Le ipotesi più semplici
Il Dodecaedro Romano non è menzionato in alcuna fonte antica, quindi, l’unico modo di procedere è avanzando delle ipotesi sul suo utilizzo. Sebastian Heath, professore presso l’Istituto per lo studio del mondo antico presso l’Università di New York, in un intervento su Fox News di qualche tempo fa, ammise di non avere nessuna idea precisa su cosa sia il dodecaedro. Partendo dallo spunto di Heath, i lettori di Fox News hanno avanzato le più svariate ipotesi. C’è chi crede si tratti di un semplice campanello e chi di un porta candela. Qualcuno ha ipotizzato che, dopo averlo riscaldato, venisse utilizzato per massaggi rilassanti. Secondo un lettore, il dodecaedro potrebbe essere un giocattolo per bambini, o anche un semplice oggetto decorativo. Il prof. Heath è rimasto molto colpito dalla quantità di ipotesi, tutte potenzialmente valide, ma nessuna chiaramente definitiva.
Ipotesi militare
Una recente ipotesi è stata avanzata da John Ladd, un ingegnere in pensione, secondo il quale il dodecaedro era utilizzato dai romani per definire la geometria ottimale delle loro armi. Secondo l’ipotesi di Ladd, il dodecaedro veniva immerso in un fluido, al fine di migliorare la progettazione e la fabbricazione dei proiettili per le fionde. Secondo la complessa teoria dell’ingegnere, grazie alla Spinta di Archimede, i romani erano in grado di determinare la deviazione della traiettoria dei proiettili. Tutta la teoria, con relativi schemi e disegni, è presentata a questo indirizzo. Va detto, però, che non sempre i dodecaedri sono stati rinvenuti in siti militari o campi di battaglia. L’ipotesi non tiene conto che gli oggetti sono stati trovati anche nei pressi di semplici abitazioni.
Ipotesi ingegneristica
Amelia Carolina Sparavigna, del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia, al Politecnico di Torino, in un interessante articolo ha ipotizzato che il dodecaedro servisse come strumento per misurare le distanze, soprattutto per il rilevamento e a scopo militare. L’articolo dove vengono spiegati i principi di ottica geometrica sottostanti a questa ipotesi lo trovate su arXiv (in inglese) e nel sito del Politecnico in traduzione italiana.
Ipotesi astronomica
Nonostante la storiografia non ci consegni una grande passione, da parte dei romani, per i moti celesti e l’osservazione astronomica, qualcuno ha ipotizzato il contrario. Nel 2010, Sjra Wagemans, della DSM Research, ha proposto una nuova teoria che assegna una funzione astronomica a questi oggetti. Wagemans ha usato una copia di bronzo di un dodecaedro per vedere se era possibile determinare gli equinozi di primavera e in autunno. Secondo Wagemans, il dodecaedro è un oggetto legato al ciclo agricolo, sofisticato e semplice al tempo stesso. Esso era usato per determinare senza un calendario, il periodo più adatto durante l’autunno per la semina del grano. Ed avere un buon raccolto era di vitale importanza per le legioni romane situate in regioni lontane da Roma. Ciò che è notevole è che Wagemans abbia usato un approccio sperimentale, nel testare il dispositivo su un periodo di alcuni anni e in diversi posti a diverse latitudini.
Ipotesi esotiche
Come si è visto, le ipotesi sono tante e non è facile seguire una traccia univoca. Altre ipotesi sono state avanzate anche dai teorici degli Antichi Astronauti, secondo i quali il dodecaedro è ciò che rimane di uno strumento tecnologico molto più complesso e che, probabilmente, i romani nemmeno conoscevano. Forse, gli abitanti dell’antica Roma si sono trovati tra le mani oggetti che non comprendevano, risalenti ad un remoto passato e che sono stati accolti dalla cultura romana utilizzandoli nella maniera più disparata, dal porta candela alla decorazione. Alcuni studiosi indipendenti, hanno avanzato l’idea che il dodecaedro possa rappresentare un simbolo sacro per i Druidi, antichi sacerdoti che animavano il culto degli antichi dei che una volta abitavano il pianeta. In questo caso, il dodecaedro potrebbe rappresentare il legame dell’uomo moderno con l’antica conoscenza di visitatori alieni entrati in contatto con i nostri antenati. Ovviamente, si tratta di ipotesi estremamente esotiche, ma visto che manca una spiegazione ufficiale condivisa, in questa fase ogni teoria ha diritto di cittadinanza, in attesa di smentita, naturalmente.
Fonte (Il mistero irrisolto del dodecaedro Romano, Written by Tommaso Cantafio)
Le ipotesi più semplici
Il Dodecaedro Romano non è menzionato in alcuna fonte antica, quindi, l’unico modo di procedere è avanzando delle ipotesi sul suo utilizzo. Sebastian Heath, professore presso l’Istituto per lo studio del mondo antico presso l’Università di New York, in un intervento su Fox News di qualche tempo fa, ammise di non avere nessuna idea precisa su cosa sia il dodecaedro. Partendo dallo spunto di Heath, i lettori di Fox News hanno avanzato le più svariate ipotesi. C’è chi crede si tratti di un semplice campanello e chi di un porta candela. Qualcuno ha ipotizzato che, dopo averlo riscaldato, venisse utilizzato per massaggi rilassanti. Secondo un lettore, il dodecaedro potrebbe essere un giocattolo per bambini, o anche un semplice oggetto decorativo. Il prof. Heath è rimasto molto colpito dalla quantità di ipotesi, tutte potenzialmente valide, ma nessuna chiaramente definitiva.
Ipotesi militare
Una recente ipotesi è stata avanzata da John Ladd, un ingegnere in pensione, secondo il quale il dodecaedro era utilizzato dai romani per definire la geometria ottimale delle loro armi. Secondo l’ipotesi di Ladd, il dodecaedro veniva immerso in un fluido, al fine di migliorare la progettazione e la fabbricazione dei proiettili per le fionde. Secondo la complessa teoria dell’ingegnere, grazie alla Spinta di Archimede, i romani erano in grado di determinare la deviazione della traiettoria dei proiettili. Tutta la teoria, con relativi schemi e disegni, è presentata a questo indirizzo. Va detto, però, che non sempre i dodecaedri sono stati rinvenuti in siti militari o campi di battaglia. L’ipotesi non tiene conto che gli oggetti sono stati trovati anche nei pressi di semplici abitazioni.
Ipotesi ingegneristica
Amelia Carolina Sparavigna, del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia, al Politecnico di Torino, in un interessante articolo ha ipotizzato che il dodecaedro servisse come strumento per misurare le distanze, soprattutto per il rilevamento e a scopo militare. L’articolo dove vengono spiegati i principi di ottica geometrica sottostanti a questa ipotesi lo trovate su arXiv (in inglese) e nel sito del Politecnico in traduzione italiana.
Ipotesi astronomica
Nonostante la storiografia non ci consegni una grande passione, da parte dei romani, per i moti celesti e l’osservazione astronomica, qualcuno ha ipotizzato il contrario. Nel 2010, Sjra Wagemans, della DSM Research, ha proposto una nuova teoria che assegna una funzione astronomica a questi oggetti. Wagemans ha usato una copia di bronzo di un dodecaedro per vedere se era possibile determinare gli equinozi di primavera e in autunno. Secondo Wagemans, il dodecaedro è un oggetto legato al ciclo agricolo, sofisticato e semplice al tempo stesso. Esso era usato per determinare senza un calendario, il periodo più adatto durante l’autunno per la semina del grano. Ed avere un buon raccolto era di vitale importanza per le legioni romane situate in regioni lontane da Roma. Ciò che è notevole è che Wagemans abbia usato un approccio sperimentale, nel testare il dispositivo su un periodo di alcuni anni e in diversi posti a diverse latitudini.
Ipotesi esotiche
Come si è visto, le ipotesi sono tante e non è facile seguire una traccia univoca. Altre ipotesi sono state avanzate anche dai teorici degli Antichi Astronauti, secondo i quali il dodecaedro è ciò che rimane di uno strumento tecnologico molto più complesso e che, probabilmente, i romani nemmeno conoscevano. Forse, gli abitanti dell’antica Roma si sono trovati tra le mani oggetti che non comprendevano, risalenti ad un remoto passato e che sono stati accolti dalla cultura romana utilizzandoli nella maniera più disparata, dal porta candela alla decorazione. Alcuni studiosi indipendenti, hanno avanzato l’idea che il dodecaedro possa rappresentare un simbolo sacro per i Druidi, antichi sacerdoti che animavano il culto degli antichi dei che una volta abitavano il pianeta. In questo caso, il dodecaedro potrebbe rappresentare il legame dell’uomo moderno con l’antica conoscenza di visitatori alieni entrati in contatto con i nostri antenati. Ovviamente, si tratta di ipotesi estremamente esotiche, ma visto che manca una spiegazione ufficiale condivisa, in questa fase ogni teoria ha diritto di cittadinanza, in attesa di smentita, naturalmente.
Fonte (Il mistero irrisolto del dodecaedro Romano, Written by Tommaso Cantafio)
Miniera di carbone di Dixonville
Nel 1974, sulla rivista New Extra, una persona testimoniò a distanza di trent'anni, che circa 15 persone avevano perso la vita nella miniera di carbone di Dixonville, Pennsylvania, e non per crolli o esplosioni. Una delle vittime, fu ritrovata, lacerata dagli artigli di una creatura sconosciuta, poi ritrovarono altri corpi umani, coperti dagli stessi segni. L'evento terribile si era verificato, dopo che i minatori avevano scoperto uno strano e sconosciuto tunnel e vi erano penetrati.
La polizia seguì questo tunnel per circa mezzo miglio, fino a che giunsero in una specie di camera, che apparentemente sembrava senza via d'uscita, fu in quel momento che tutto dietro di loro crollò, e giunsero altre persone che iniziarono a scavare per liberarli, nel frattempo una delle persone che era rimasta intrappolata, sentì dietro alla nuca un fiato caldo, era così atterrito che non si voltò per vedere chi fosse alle sue spalle, nello stesso tempo arrivarono subito i soccorritori e la creatura scappò, ma uno dei suoi compagni aveva visto bene e dichiarò con gli occhi sbarrati dall'orrore che quella cosa non era di questo mondo.
Possibile che certi luoghi sotterranei siano abitati da creature sconosciute che non sono nè animali, nè uomini?
Fonte
La polizia seguì questo tunnel per circa mezzo miglio, fino a che giunsero in una specie di camera, che apparentemente sembrava senza via d'uscita, fu in quel momento che tutto dietro di loro crollò, e giunsero altre persone che iniziarono a scavare per liberarli, nel frattempo una delle persone che era rimasta intrappolata, sentì dietro alla nuca un fiato caldo, era così atterrito che non si voltò per vedere chi fosse alle sue spalle, nello stesso tempo arrivarono subito i soccorritori e la creatura scappò, ma uno dei suoi compagni aveva visto bene e dichiarò con gli occhi sbarrati dall'orrore che quella cosa non era di questo mondo.
Possibile che certi luoghi sotterranei siano abitati da creature sconosciute che non sono nè animali, nè uomini?
Fonte
Il Segreto di Fulcanelli
Per il discepolo è un compito ingrato e difficile presentare una opera scritta dal proprio Maestro. Perciò, la mia intenzione non è quella d'analizzare in quest'occasione II Mistero delle Cattedrali, né di sottolineare il bello stile ed il profondo insegnamento.
Confesso umilmente la mia incapacità e preferisco lasciare ai lettori il compito d'apprezzare il libro, ed ai Fratelli di Heliopolis la gioia di raccogliere questa sintesi, esposta così magistralmente da uno di loro.
Il tempo e la verità faranno il resto. Già da molto tempo, ormai, l'Autore di questo libro non è più tra noi. L'uomo si è eclissato. Riemerge soltanto il suo ricordo.
Provo una certa pena nell'evocare l'immagine di questo Maestro laborioso e sapiente, al quale devo tutto, deplorando; ahimè! la sua precoce dipartita. I suoi molti amici, fratelli sconosciuti che attendevano da lui la soluzione del misterioso Verbum dimissum, lo rimpiangeranno insieme a me.
Ma poteva egli, giunto al culmine della Conoscenza, rifiutare di obbedire agli ordini del Destino?
— Nessuno è profeta in patria —
(Il Mistero Delle Cattedrali, Fulcanelli)
Dietro il proscenio delle antiche scienze sacerdotali e delle pratiche alchemiche trasmutative si nascondono misteri e avvenimenti che hanno assunto i contorni del mito, generando leggende e rivelando (nel senso di occultare nuovamente) la Verità vera agli occhi del volgo. Soprattutto nel contesto alchemico legato alla Grande Opera, si sono verificati eventi straordinari che vedono protagonisti personaggi avvolti nella nebbia dell’occulta sapienza, la cui identità è pressoché sconosciuta a causa dei numerosi depistaggi volti a mantenere celata l’origine stessa delle loro più intime appartenenze. Il celebre alchimista Fulcanelli, l’uomo senza volto, rientra a pieno titolo in tale ambito. Da più di cinquant’anni si indaga sulla vita di questo enigmatico uomo i cui caratteri salienti sono in profonda commistione con il Conte di Saint Germain, tanto che alcuni hanno avanzato l’ipotesi che si tratti della medesima persona. A quanto sembra, il nome di Fulcanelli è solo uno pseudonimo, riconducibile con una certa approssimazione fonetica a Vulcano, il mitico fabbro degli dei e ad Helios, l’antica divinità solare. Tra gli scritti di Fulcanelli, uno in particolare assume valenze ermetiche ed iniziatiche di notevole valore. Si tratta dell’ormai celebre opera Il Mistero delle Cattedrali. Nella prima edizione di questo incomparabile lavoro di simbolismo alchemico appare l’introduzione di un discepolo diretto del Maestro, Eugène Canseliet, il quale scriveva: “Per il discepolo è un compito ingrato e difficile presentare un’opera scritta dal proprio Maestro. Perciò la mia intenzione non è quella di analizzare il ”Mistero delle Cattedrali”, né di sottolineare il bello stile e il profondo insegnamento. Confesso umilmente la mia incapacità e preferisco lasciare ai lettori il compito di apprezzare il libro, e ai Fratelli di Heliopolis (confraternita iniziatica ispirata all'antichissima città del Sole egizia, vero e proprio centro d’iniziazione osiridea), la gioia di raccogliere questa sintesi, esposta così magistralmente da uno di loro. Il tempo e la Verità faranno il resto. Già da molto tempo, ormai, l’Autore di questo libro non è più tra noi. L’uomo si è eclissato”. Il finale della prefazione lascia adito a numerose ipotesi. È una casualità che il Canseliet si sia servito del termine eclissarsi? Crediamo di no, perché in effetti quest’ultimo non intendeva dire che Fulcanelli era morto ma, al contrario, voleva far capire tra le righe che il famoso alchimista si era letteralmente volatilizzato dopo il compimento della Grande Opera, naturalmente. La storia di Fulcanelli, permeata di mistero e magia, si snoda nella Parigi dei ruggenti anni Venti, quando iniziarono a circolare strane voci concernenti un maestro d’alchimia che aveva incominciato a lavorare (sarebbe meglio dire ad operare) segretamente nella capitale francese. E fu proprio Canseliet il primo a diffondere tale notizia. Quest’ultimo, assieme ad un suo amico, Jean Julien Champagne, un artista che alloggiava in un appartamento situato vicino al suo, in rue Rochechouart 59, a Monmartre (il quartiere degli artisti), fondò un circolo di occultismo. Ben presto, all'interno di questa cerchia iniziarono a gravitare diversi appassionati e studiosi di alchimia. La vera identità del Maestro, comunque, non era nota a nessuno degli affiliati, solo Canseliet e Champagne lo avevano incontrato, descrivendolo come un uomo assai colto, molto ricco e di età avanzata. Secondo una voce che circolava con una certa insistenza, Fulcanelli era ormai sul punto di realizzare la Grande Opera (e quindi di fabbricare anche l’elisir di lunga vita). Questo particolare creò ulteriore interesse e concitazione fra i membri del gruppo esoterico che seguivano con febbrile curiosità la vicenda. Nel 1926, in autunno, la figura del Maestro sembrava ormai essere solo il frutto di una ben congegnata messinscena, un parto della fantasia generato per una ragione sconosciuta quando, inaspettatamente, fece la sua comparsa l’enigmatico volume Il Mistero delle Cattedrali. Del libro vennero stampati solamente trecento esemplari, in una edizione di lusso, dalla casa editrice dello stesso Canseliet (che allora aveva appena 26 anni). Anche Champagne contribuì alla realizzazione del testo illustrando le tavole che in esso erano contenute. Fulcanelli intendeva fornire la chiave del complesso simbolismo racchiuso nella pietra, nel legno, nel vetro che caratterizzavano l’insieme degli elementi stilistici e decorativi appartenenti ad alcune cattedrali gotiche. Egli era convinto che al di là dell’interpretazione di impronta religiosa-cristiana, la simbologia in questione fosse in realtà un codice che una volta decriptato era in grado di fornire istruzioni circa le operazioni alchemiche e la creazione della Pietra Filosofale. In passato, altri autori e ricercatori che militavano in ambito esoterico, avevano espresso un’identica opinione, ma senza l’ausilio di una verifica diretta che, al contrario, il Maestro presentava nel suo sconcertante libro. Il successo che stava riscuotendo intensificò le ricerche mirate a disvelare la vera identità di Fulcanelli, che per alcuni non era altro che un discendente della grande casata dei Valois, divenuti celebri nella storia della Francia sopratutto per la loro inclinazione agli studi ermetici. Non a caso, numerosi membri di questa potente famiglia avevano intrapreso il cammino esoterico, e tra questi l’ultimo Re Enrico III, anche lui interessato alla magia. Persino i nostri Canseliet e Champagne, a detta di molti, potevano celare dietro il loro nome l’ombra di Fulcanelli. Quest’ultima ipotesi per gli studiosi è notevolmente fallace, sia per la differente età dei due, che in ogni caso non corrispondeva a quella del Maestro (molto avanti con gli anni), e per altre ragioni che sarebbe lungo in questa sede spiegare compiutamente. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che Champagne, forte bevitore di assenzio (il liquore delle fate), perì nel 1932 a soli 55 anni, dopo una lunga agonia, assistito da Canseliet.
Fonti Varie (Wikipedia e Libro "Il Mistero Delle Cattedrali, Fulcanelli")
Fonti Varie (Wikipedia e Libro "Il Mistero Delle Cattedrali, Fulcanelli")
Il cuneo di alluminio di Aiud
Nel 1974 questo oggetto a forma di cuneo fu trovato a 1,2 miglia a est di Aiud in Romania.E’ stato scoperto sulle rive del fiume Mures. Si dice che fosse sotterrato a più di 10 km sotto la sabbia, vicino a due ossa di mastodonte. Assomiglia alla testa di un martello ed è fatto di una lega di alluminio, incassata in uno strato di ossido. E’ strano perché l’alluminio non fu scoperto prima del 1808 e prodotto in grandi quantità prima del 1885. Dal momento che è stato trovato nello stesso strato delle ossa di mastodonte, si direbbe che abbia almeno 11.000 anni.
Molti credono che questo attrezzo sia la prova definitiva che gli alieni sono stati sulla terra, dal momento che non è possibile che gli umani abbiano creato una lega simile migliaia di anni fa.
Fonte
Molti credono che questo attrezzo sia la prova definitiva che gli alieni sono stati sulla terra, dal momento che non è possibile che gli umani abbiano creato una lega simile migliaia di anni fa.
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